Scambiandoci gli auguri, che estendiamo anche ai lettori del blog, abbiamo parlato delle iniziative per il 2011.
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Il dibattito sulla democrazia italiana è da tempo bloccato fra la tesi del regime e la tesi della onnipotenza del leader e del governo usciti vincitori dalle elezioni. Il dibattito è bloccato, perché la cosa piace molto a chi sostiene l'una tesi come l'altra. Eppure sono tutte e due prive di fondamento. Noi viviamo sì in modo accentuato l'ondata populistica che attraversa le vecchie democrazie occidentali, per avere un Presidente del Consiglio e partiti di maggioranza che ripetono e soprattutto praticano la tesi che la "maggioranza prende tutto". Ma le ragioni per cui il Parlamento ha smesso di legiferare e lo stesso Governo agisce solo attraverso il Ministro dell'Economia non c'entrano col populismo, hanno casomai a che vedere con vicende istituzionali molto più risalenti.
E soprattutto finora, sottolineo finora, abbiamo un arsenale di contropoteri assolutamente invidiabile, e che nella gran parte dei casi fanno il loro mestiere, dal Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, dai giudici alle autonomie locali, dalle autorità indipendenti alla Banca d'Italia, per non parlare del Presidente della Camera.
Abbiamo quindi, dal punto di vista istituzionale, una democrazia molto conflittuale, non una democrazia che si va lentamente spegnendo (tesi del regime) o che è preda di usurpatori della volontà popolare.
Ripristinare il senso delle proporzioni rispetto a quanto sta avvenendo sarebbe mestiere ingrato se fossimo in ambiente mediatico. Ma almeno tra noi possiamo chiederci: possibile che nel discorso pubblico le due tesi continuano a monopolizzare l'attenzione, pur senza rispecchiare affatto la realtà? Non sarebbe urgente partire da dati di fatto, anziché da favole?
6 commenti:
Il commento di Cesare è ampiamente condivisibile. Ha il merito di evidenziare come le colpe dell'attuale situazione non siano ascrivibili solo al volgare e mistificatorio populismo della destra mediatica ma anche al polveroso bagaglio ideologico e culturale di certa opposizione. Ne è tra gli altri esempio il dibattito sulla politica industriale della Fiat che finanche quel pericoloso reazionario di Romano Prodi in una recente intervista sul Messaggero ha definito come logica e non certo come un inesistente attacco ai diritti costituzionali dei lavoratori. Ne è ulteriore riprova, aggiungo io da avvocato penalista, il dibattito sulla difesa dei valori costituzionali che taluni, anche illustri giuristi vorrebbero limitare solo ad alcuni articoli della carta, mentre attivamente sollecitano la soppressione di altri. Come il diritto alla libertà personale ed alla tutela della riservatezza e delle comunicazioni. Urlare al contempo " non si tocca il diritto al lavoro" ed "intercettateteci tutti" è una bestialità CULTURALE E COSTITUZIONALE
Cataldo INTRIERI
Condivido largamente le opinioni espresse dal prof. Pinelli sulla democrazia italiana che tale è, e rimane, a dispetto di chi vuol farci credere che ormai viviamo in un regime, altrimenti ben difficilmente potrebbero esistere gruppi editoriali come L’Espresso o sarebbero tollerate trasmissioni come quelle andate in onda su Rai Tre sulla cd. macchina del fango. Ed inoltre, come è stato giustamente ricordato, nel nostro ordinamento i contro poteri sono tanti e ancora funzionanti. Ciò premesso, che crisi vi sia è un dato incontestabile, ma prima e più che istituzionale a me pare trattarsi di una crisi essenzialmente morale, quest’ultima ben più insidiosa della prima. Ora, se le cose stanno nei termini indicati, il problema è un po’ più difficile da affrontare poiché occorrerebbe agire in “profondità”, non basta cambiare qualche meccanismo istituzionale che presto si rivelerebbe un inutile palliativo. Su questi temi - quali, ad esempio, il carattere nazionale italiano e la reale compatibilità di noi italiani con la democrazia - il dibattito è aperto da anni, non solo in chiave storiografica (Galli della Loggia e, prima di lui, Giulio Bollati) ma anche giuridico- costituzionale. Quali le possibili soluzioni? Non facili e, soprattutto, non di breve periodo.
Forse si potrebbe partire dall’etica della responsabilità e dal ripristino di un sistema di premi e punizioni. Una delle cose che maggiormente salta agli occhi nella nostra società è che ormai si può dire e fare di tutto, tanto nessuno è chiamato a rispondere delle sue azioni od omissioni (clamoroso che l’attuale Ministro per i beni culturali vede crollare un monumento di fama mondiale e non sa dire altro che lui non c’entra nulla!).
Ecco, forse l’etica della responsabilità potrebbe essere un buon punto di partenza.
Cristiano Aliberti
Condivido lo spirito e la lettera delle osservazioni di Cesare Pinelli e dell'ulteriore contributo di Cataldo Intrieri. La dialettica pubblica si carica sovente di valori simbolici che finiscono con il sovrastare quelli più immediati ed operativi. Ciò si collega probabilmente ad una difficoltà nel passaggio da un tempo di forti contrapposizioni ideologiche ad un tempo di gestione della politica quotidiana.
Il valore ed il senso dell'alternanza, che dovrebbe essere il frutto maturo di una "seconda repubblica", nata quasi per caso, stenta, dunque, a farsi strada. Prima di immaginare avventurose riforme della Costituzione, proviamo a rendere effettivi gli istituti che esistono: i programmi elettorali, i diversi possibili modi di affrontare i problemi del paese, il confronto su di essi, le elezioni, la responsabilità politica; proviamo a rendere effettiva una responsabilità dirigenziale misurata davvero sulle cose fatte; proviamo a conseguire tempi davvero ragionevoli nel rendere giustizia; proviamo ad immaginare modi di selezione dei magistrati e degli avvocati che favoriscano l'affiatamento fra di essi e garantiscano un elevato livello del servizio che rendono, ecc. Occorre guardare con occhi nuovi alla realtà e svolgere un discorso mirato principalmente ai problemi della convivenza civile, delle istituzoni, della società, dell'economia. L'ideologia è la lente attraverso cui la realtà viene vista; non una sfera di realtà che si sovrappone a quella immediata.
Tutto ciò è, probabilmente, condiviso da tutti; ma solo con difficoltà tende a farsi strada.
Augusto Cerri
C'è un termine inglese, forse non a caso intraducibile in italiano, che a mio avviso indica molto bene ciò che più manca al sistema istituzionale italiano, alla sua cultura. Il termine è "accountability". Credo che l'odierno "me ne frego" sia un perfetto esempio di quello che intendo. Non è regime, ma è lo smantellamento sistematico di valori e regole, che nel lungo periodo può fare danni incalcolabili.
Antonella Deledda
Gli strumenti della democrazia che Cesare ha citato sono, in effetti, presenti e attivi. Tuttavia è accaduto che per la prima volta nella storia parlamentare della Repubblica il Governo ha goduto, per anni, di una maggioranza assolutamente schiacciante e ha reso del tutto inutile il lavoro della opposizione in parlamento. Il presidente della Repubblica ha spinto al massimo delle possibilità i suoi ben pochi poteri ma si è dovuto sempre democraticamente acquietare, in fine, di fronte al parlamento. E altrettanto spuntata è stata l'azione delle autorità indipendenti al punto che quando il Governo ha deciso cose su cui le autorità avevano punti di vista scomodi ne ha tranquillamente limitato per legge il campo di azione (vedi i poteri sospesi dell'AGCM sulla vendita di Alitalia). Alcuni poteri si sono potuti riaffacciare solo quando questa maggioranza schiacciante si è incrinata e hanno riprovato l'ebrezza di contare di nuovo qualcosa.
In sostanza mi pare che gli equilibri e i bilanciamenti su cui poggia il nostro sistema costituzionale sono costruiti per dare un ruolo anche alle opposizioni ma non funzionano se la maggioranza è schiacciante e pervasiva al punto da non temere le critiche e le manifestazioni pubbliche di dissenso. Erano altresì costruite dando per scontato il senso dello Stato dei Partiti e un fair play costituzionale che oggi non si trovano più. Ad esempio alcune cariche in cui era importante l'indipendenza dei nominati erano affidate alla scelta dei presidenti delle Camere ma questo aveva senso quando uno dei presidenti era espressione dell'opposizione.Ora invece il metodo di nomina è lo stesso ma i presidenti sono ambedue di maggioranza. Insomma la Costituzione era efficiente in un diverso mondo in cui la maggioranza faceva i conti con l'opposizione. E fino a ieri, e per troppi anni, non è stato così.
Senza doversi iscrivere?
Non sono finora riuscita a capire come possa succedere in questo Paese così amante della cultura che ci siano avvocati che nello scrivere manifestano poca dimestichezza con la logica ma anche tranquillamente con la grammatica, la sintassi e persino l'ortografia. Come possa un processo, per il quale basterebbe una ispezione di località e tre quattro mesi di memorie, durare dieci anni. Perché si siano moltiplicati uffici che sembrano svolgere le mansioni più disparate, dai nomi cervellotici: uffici occupati, al caldo, da una sorta di sesquiplebe nullafacente ma alquanto spocchiosa. Non ho nostalgia di tornare ad alcunché, ma forse il progresso, in ogni pubblico settore ha coinciso più nel rafforzamento e ampliamento di una conventicola che nella organizzazione di qualcosa di più moderno e corrispondente a nuove liberatorie esigenze, ad effettivi fattibili miglioramenti da estendere a tutti, a quasi tutti.
E’ evidente che i commenti sopra leggibili sono stati scritti da gente che non ha alcuna incertezza culturale e tuttavia a me che viaggio un po’ nel loro campo, sed magis audacter quam parate, risulta un po’ incomprensibile e molto antipatico che persone di quella fatta non siano riuscite a diffondere veramente, attraverso il loro agire, un po’ più di cultura delle leggi, della legalità e dello Stato : a dare con quel mezzo la giusta credibilità a quella parte del passato che non era da buttare. Nel vuoto lasciato s’è infilato il nuovo.
Quello che neppure il fascismo, come ha ben notato Pasolini, era riuscito ad eradicare di una tradizione da superare solo quando non fosse da conservare, in poco tempo é diventato quasi cosa di cui vergognarsi. Sarebbe stato proprio impossibile favorire la continuità nella comunicazione tra le generazioni; impossibile, attraverso una adeguata concezione della cultura, non apparato esteriore della vita bensì consapevolezza, far sì che i maestri non solo insegnassero, ma imparassero in uno scambio reciproco, appunto di consapevolezza?
L’idea di modello ha prevalso (ma ogni forma é una morte!) e chi rientrava nel modello non poteva riservare distanza se non disprezzo a chi quel modello non incarnava. Così a un modello, proprio per apprendimento é stato sostituito un altro modello: parimenti legittimato a diventare esclusivo: sempre in base alla legge del più forte: che è idea un po’ lontana da una vera cultura. O no?
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