domenica 29 aprile 2018

L'utopia sostenibile, incontro con Enrico Giovannini

La sostenibilità  - sociale, economica, ambientale e istituzionale - può essere realizzata, anche in tempi ragionevoli. E' anzi l'unica possibilità che abbiamo. E' questa "l'Utopia Sostenibile" di cui discuteremo lunedì 14 maggio alla Fondazione Modigliani.


sabato 12 dicembre 2015

Fare lo Stato per fare gli italiani

In collaborazione con la Fondazione Modigliani, venerdì 18 dicembre alle 17, è stato presentato il volume: "Fare lo Stato per fare gli italianiRicerche di storia delle istituzioni dell’Italia unita", ed. il Mulino.

La presentazione si è svolta presso la sede della Fondazione, in via dell'Arco del Monte 99/A.

Interverranno Marina Giannetto, Sovrintendente dell'archivio della Presidenza della Repubblica, Bernardo Mattarella, Capo dell'Ufficio legislativo del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione e Cesare Pinelli Presidente della Fondazione Modigliani e del Circolo Cattaneo, 


Fra i maggiori esperti della macchina statale italiana, cui ha dedicato numerose e innovative ricerche, Guido Melis ha raccolto in questo volume i suoi più importanti contributi su tre aspetti cruciali di storia istituzionale: la nascita e lo sviluppo del sistema amministrativo nei primi decenni preunitari, indagati tanto nell’opera di riforma quanto negli uomini e nelle strutture; la condizione delle istituzioni pubbliche nel Ventennio, ossia la misura del loro adeguamento al regime fascista; infine il ruolo complessivo che il sistema amministrativo ha avuto e ha nella storia del nostro paese.

domenica 18 gennaio 2015

Dopo Charlie Hebdo: è scontro di civiltà?

Lunedì 26 gennaio 2015, alle ore 17,30, ci siamo incontrati in via dell'Arco del Monte n. 99 A, sede della Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani (ESSMOI), per discutere sul tema:
"Dopo Charlie Hebdo: è scontro di civiltà?"

Ha introdotto Luigi Capogrossi Colognesi, professore emerito di Diritto romano all'Università La Sapienza di Roma




Sul tema, pubblichiamo qui una riflessione di Giancarla Babino, invitando chi lo vuole ad intervenire nel dibattito.

PERCHE' NON "SIAMO TUTTI CHARLIE HEBDO"

L’attacco disumano del terrorismo fondamentalista a Charlie Hebdo ha colpito stavolta la nazione che ha la laicità nella sua bandiera e la libertà di espressione come uno dei suoi capisaldi. La Francia, che vieta  per legge i simboli religiosi e che impone le pareti deserte alla sua Repubblica, nella convinzione che il diritto sia la migliore garanzia – l’unica – di tutela per tutti, per i credenti e per i non credenti.
Charlie Hebdo non è un giornale qualunque, e per chi ama le vignette, le strisce, quel meraviglioso, fulmineo e geniale modo di esprimersi che sono le bande dessinée, è sempre stato il punto di riferimento massimo, ancor più del suo compagno, ben più robustamente finanziato, il  Canard Enchainé.
Degli autori morti a Parigi, la rivista Italiana Linus pubblicava soprattutto Wolinski, e le sue donne, sinuose, licenziose e  deliziose. Wolinski appariva in Italia anche su Il Male e su Cuore, tra gli anni Settanta e Novanta. 
Ad essere colpito a morte stavolta è stato dunque  il riso e, come ricordava Umberto Eco nel suo “Il nome della rosa” : “ Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile. Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza...”
Questa frase è contenuta nel dialogo fra Jorge e Guglielmo, due frati nel Medioevo, quando Jorge confessa la sua colpevolezza nella lunga catena di omicidi dell’abbazia cristiana, avvenuta proprio per la pericolosità del riso contenuta  in un libro.  Il riferimento può dunque adattarsi benissimo al nuovo medioevo che stiamo vivendo, e ai suoi integralismi.
Cosa c’è infatti di più comune, in Occidente, della carta stampata?
Eppure, se rimaniamo attoniti davanti  a una redazione trasformata in un mattatoio, e ripensiamo all’elenco dei recenti bersagli del terrorismo fondamentalista: una scuola a Tolosa; un museo ebraico a Bruxelles; un caffè a Sidney; il parlamento a Ottawa; un giornale satirico a Parigi, ci rendiamo conto che sono proprio i luoghi della banalità democratica ad essere stati attaccati.
Sono gli snodi della nostra ragnatela di rapporti  comuni, in cui si manifestano appunto le convinzioni e il nostro vissuto democratico di progresso e di libertà: la libertà di studiare; di conservare la memoria; di incontrarsi e di consumare piacevolmente; di esercitare la democrazia rappresentativa; di scrivere e di informare.
E’ dunque vero che, come ha scritto il direttore di “La Repubblica” Ezio Mauro: “Oggi ciò che noi siamo è ciò di cui moriamo?”
La prima reazione è di paura, di sgomento, di atavica inquietudine.
Proprio per questo però non possiamo, perché non vogliamo, farci trascinare dalle sensazioni di una radicale vulnerabilità.
L' immagine, insostenibile, del poliziotto Ahmed, francese e musulmano come gli attentatori, finito vigliaccamente mentre era già per terra,  inerme e ferito – e che è anche l' unica immagine del massacro -  diventa quella decisiva. Perché tutti abbiamo una vita che potrebbe esserci strappata, rapinata dall’odio di altri uomini, e perché non c’è niente di più umano che chiedere pietà al proprio carnefice.
E dunque davvero possiamo dire che: "siamo tutti Ahmed"; ma, proprio per questo, affermiamo che "non siamo tutti  Charlie Hebdo".

Non lo siamo, - ed è difficilissimo  sostenerlo oggi, con quei dodici morti massacrati  in redazione e i cinque successivi, nello sdegno universale - perché le vignette anti- islamiche  (e anti-cristiane, e anti-ebree) che pubblicava erano non allegre, non divertenti, laddove l’allegria e il divertimento sono allusione e leggerezza, e nemmeno satiriche, ma erano solo blasfemia, facile  trasgressione, una marmellata senza rispetto, di nulla e di nessuno.

Non lo siamo perché crediamo che la libertà d’espressione sia, certo, il fulcro di una moderna democrazia, ma crediamo anche che questa stessa libertà non sia un diritto assoluto, e che termini dove inizia quella del mio simile.

Non lo siamo perché crediamo che la libertà sia invece una responsabilità, un’opportunità legata strettamente a un dovere morale, che deve perciò tenere conto che anche il suo esercizio ha una misura, dei limiti.
Limiti che non riguardano affatto la paura di ritorsioni per quello che si dice, si scrive, si disegna, si filma – che è la caratteristica dei vigliacchi, non delle persone libere – ma la responsabile e attenta valutazione preventiva dell’impatto politico e sociale di quanto si dice, si scrive, si disegna, si filma.

Come ci ricordava lo storico Tzevan Todorov, sempre su “La Repubblica”, : “… il vero pilastro della democrazia non è la libertà di stampa, ma l’idea che in un sistema democratico ogni potere ha delle limitazioni”.

Non è in atto uno scontro di civiltà, e proprio noi occidentali, cresciuti nel rispetto della laicità e del relativismo, dobbiamo assolutamente combattere contro ogni tentativo di radicalizzare un conflitto che può scavare un solco insormontabile. Non siamo all’alba di una nuova Battaglia di Lepanto. Questo timore rischia di fare proprio il gioco degli attentatori, perché è appunto questo il vero obiettivo: mostrare che si tratta di uno scontro di civiltà. 

Ed è necessario al tempo stesso ricordare sempre che nessuna pretesa libertà – di una frase, di un disegno, di una macchina da presa – può venire prima del dialogo, della tolleranza, del reciproco rispetto: i valori che realmente definiscono noi occidentali e che costituiscono i veri obiettivi degli integralisti.

Senza le vignette di Charlie Hebdo, i fanatici avrebbero trovato altri obiettivi e pretesti per colpire, perché è proprio l’assenza di un movente razionale a fare di un uomo un fanatico. Dobbiamo però porre la massima attenzione a non sostenere le contrapposizioni, a non far diventare un baratro il solco già aperto delle diverse identità che (s)compongono le società odierne.
Perché è proprio questo che equivarrebbe a fare il gioco dei distruttori.

Sappiamo che anche questi terroristi, così feroci, sono francesi: di quelli che “non ce l’hanno fatta”, le “scorie” dell’integrazione degli immigrati dalle colonie in un Paese dove l’integrazione è però in massima parte riuscita, come proprio la presenza, e la morte, del poliziotto Ahmed dimostra.

Il brodo di coltura è anche in una palude fatta di mancanza di lavoro che troppo spesso è un’assenza totale; di repressione; di disuguaglianza; di imprecazione e di dileggio reciproco del credo altrui.
E' insomma nelle mille questioni culturali aperte nei nostri Paesi che nascono e prosperano il fondamentalismo e il terrorismo, che certo hanno origini forti e lontane, ma che crescono da noi, e dunque la palude va affrontata con le nostre armi, prosciugandola, non alimentandola.

Se dobbiamo cambiare è andando in questa direzione, e non respingendo, incattivendoci, asserragliandoci.

E se è possibile, e verosimile, che ognuno di noi può diventare un bersaglio potenziale, quello che possiamo fare è proprio questo: continuare nella lettura, nella scrittura, nel dialogo, nel confronto, nella solidarietà, nel lavoro politico che combatte le disuguaglianze, e accetta le diversità rispettose, con rispetto.

Continuare a tessere, insomma, la nostra trama sociale dignitosa e riguardosa, impossibile da disfare, perché sarebbe come fermare il tempo, e dentro la quale possiamo anche sostenere che, appunto, non siamo tutti Charlie Hebdo. 

Giancarla Babino, 10 gennaio 2015

mercoledì 15 ottobre 2014

Riflettendo su Norberto Bobbio

L'ultimo incontro del Circolo, in collaborazione con la Fondazione Modigliani, è stato dedicato a Norberto Bobbio. Si è svolto mercoledì 19 novembre, alle ore 17,  presso la sede della Fondazione in via dell'Arco del Monte, 99/A
RIFLETTENDO SU NORBERTO BOBBIO A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA
Sono intervenuti:
Tommaso Greco
Giulia Labriola
Cesare Pinelli
Francesco Riccobono
Paolo Ridola